mercoledì 31 maggio 2017

Anoressia





L’anoressia e la bulimia rientrano tra i più importanti disturbi dell’alimentazione.

Spesso si ritiene che l’unico problema di chi soffre di queste patologie 
sia proprio quello del corpo,
ciò che trae in inganno è proprio il termine DIMAGRIRE.
Sul corpo ogni persona materializza il dolore interiore 
e in questo modo cerca di “dimagrire”
proprio quel dolore che in quel momento non ha un nome.

I problemi con il cibo sono un modo per comunicare le proprie sofferenze.
Il rifiuto di mangiare è la caratteristica principale dell'anoressia, l’intento è quello di controllare la propria immagine, illudendosi che cambiando il proprio corpo si possa cambiare anche la propria vita, gli altri e la realtà. Il corpo diviene una tela su cui dipingere il proprio dolore.
L’anoressia è spesso accompagnata dalla bulimia. Cedendo all'istinto di sopravvivenza s’incomincia a mangiare di tutto cercando di riempire quella sensazione di vuoto incolmabile, come se ci fosse un pozzo profondo e buio da riempire. 

Alla base dell’anoressia ci sono molteplici fattori di natura psicologica: l’influenza negativa di altri componenti del nucleo familiare, pressioni o aspettative eccessive o senso di trascuratezza da parte dei propri genitori o derisione da parte dei coetanei, sono alcuni dei motivi che scatenano il rifiuto del cibo, a cui in qualche caso si associano comportamenti autodistruttivi come l’abuso di alcool o droghe. L’anoressia però può dipendere anche da traumi subiti, come maltrattamenti e abusi sessuali, drammi familiari, difficoltà di accettazione.

Si scopre ancora, paradossalmente, che la “non fame” alimentare dell’anoressica nasconde un’immensa fame d’amore: verso il padre, poco o nulla presente o, al contrario, portatore di un abuso materiale, mentale o fantasticato, o verso la madre che nutre meccanicamente e senza amore con un cibo materiale, freddo, elargito per dovere che sostituisce con gli alimenti la presenza fisica e psichica che non è capace di dare (Recalcati, 1997).
Nella famiglia vi è spesso la marcata tendenza ad evitare conflitti, per cui la coppia di genitori appare in superficie, tranquilla e ben affiatata. In realtà, l'assenza di conflitti nasconde una notevole rigidità affettiva. L'atteggiamento di vita generale che prevale in queste famiglie è abitualmente orientato al perfezionismo, all'ambizione e al successo. Le principali caratteristiche comportamentali di queste famiglie: coinvolgimento complesso, eccesso di vigilanza, tendenza ad evitare conflitti, caparbietà, coinvolgimento dei figli nelle liti dei genitori
Le pazienti anoressiche appartengono abitualmente a famiglie del ceto medio, sono figlie uniche, oppure in presenza di fratelli affermano di essere considerate inferiori a loro (Jores 1976). 
Nell'infanzia sono state bambine belle, brave e buone, hanno dimostrato un buon adattamento sociale (anche eccessivo), coscienziose, obbedienti fino alla sottomissione, sono molto intelligenti e ottime studentesse. I loro interessi si orientano verso argomenti intellettuali, i loro ideali sono ascetici.

La madre viene soventemente descritta come autoritaria, conformista e poco capace di intimità ed affetto con i figli e il marito: personaggio rigido, dominante, poco caloroso che evita l'espressione dei sentimenti positivi e le manifestazioni emotive.
Molto spesso queste angosce di separazione percorrono almeno tre generazioni perché anche la madre della paziente anoressica è stata, a sua volta, paladina di unità familiare per contrastare costruzioni difensive del nucleo di appartenenza, dove il lutto, la malattia, la separazione richiamano il tema della perdita che incombe su queste famiglie.
La madre, in questo caso, non ha mai preso in considerazione la possibilità di ricercare una propria felicità che non sia solo narcisistica o la possibilità che la figlia abbia un’esistenza diversa da sé, separata e separabile, anzi ne fa un suo prolungamento fisico e psichico. La figlia diviene una realizzazione idealizzante di sé, destinata a salvarla dalla frustrazione e dalla solitudine; è costretta a vivere esperienze destinate ad un adulto, ad una madre che non è stata capace di contenerle, elaborarle, delimitarle (Marinelli, 2004).

Winnicott parla di “vuoto controllato” con il quale si cerca di affrontare il “terrore del vuoto”. Questo vuoto controllato può essere anche una difesa da una madre divoratrice, vuota a sua volta, che vuole alimentarsi con le risorse della figlia, con la sua giovinezza, con la sua fame di esperienze e di vita. Una madre che chiede alla figlia di colmare il suo stesso vuoto, proietta in lei i suoi bisogni, la sua impossibilità a reagire, diviene a sua volta una bambina che cerca nella figlia la madre contenitore che non ha avuto (Winnicott, 1985).

Il  bisogno di essere riempita, amata, fecondata, dall’amore materno e dal piacere del padre, dall’esperienza della propria efficacia e coesione, è andato distrutto o è stato sostituito dalla difesa compiacente, dalla rinuncia di sé per fare spazio alla madre e alla vita di quest’ultima.
L’anoressica utilizza il corpo per narrare le carenze empatiche della madre, per manifestare la propria sofferenza, ma al tempo stesso per dimostrare la padronanza del proprio corpo.
L’anoressica arriva a negare i suoi bisogni per non sentire la dipendenza, vivendo la tragica esperienza di una lotta continua tra bisogno della madre e necessità di separazione dalla madre, per una fisiologica separazione/individuazione, resa più difficile da una madre che non accoglie ma respinge, non abbraccia ma divora. 

“’E’ difficile mettere in discussione la relazione con una madre di vetro,
 fragile e infantile, incapace a sua volta di avere una propria autonomia, 
una madre che pensa potrebbe spezzarsi qualora venisse disattesa, 
delusa e abbandonata”
Fabiola De Clercq, Donne invisibili. 1995.

Se da numerosi studi emerge una patologia della relazione tra la madre e la figlia altri  concentrano l'attenzione sul ruolo del padre.
Viene descritto un padre emotivamente assente, segretamente svalutato dalla moglie. Il rapporto tra i due è caratterizzato da una scarsità  di interazioni.

L'anoressica non ha formato il suo sé se non in simbiosi con qualcun altro.  Il confine e il no espressivo rappresentano l'alternativa a dover scomparire per paura della simbiosi patologica, nella sua vita  ha sempre detto si a tutto, anche abusando di se, l'unico no è stato espresso con forza al cibo. La paziente ha bisogno di potersi riappropriare della gamma delle opportunità, lasciando fluire l'energia e allentando le tensioni croniche.

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